Igor Ballyhoo ha lasciato SL sei mesi fa, mi dicono. Raccontano di lui che sia stato uno dei più significativi esponenti dell’arte in SL, ma questo lascia il tempo che trova perchè è un’affermazione tanto importante quanto vuota finchè non entro in contatto con il suo mondo di significati. Il Carp ha organizzato una mostra-tributo, una mostra fotografica delle sue realizzazioni, raccolte da Rebeca Bashley ed esibite all’Art Gallery Diabolus. L’occasione per conoscere, se non lui, quello che ha lasciato. Molto di quello che ha realizzato (si parla di tremila opere in 4 anni) sembra perduto nelle vastità di SL, per cui la documentazione raccolta qui è preziosa. Le fotografie, e le poche sculture, sono raccolte in uno spazio aperto ma piccolo, su impalcature, quasi a significare la precarietà degli allestimenti, ombre residue di una presenza forte che ora è altrove.
Una mente versatile, la leggerezza di chi non si prende troppo sul serio neanche quando il cuore stilla sangue, come fanno i suoi fiori. Opere poliedriche, pulsanti di vita, cultura, politica e ancora vita occhieggiano.
Angoscianti viaggi dentro ingranaggi neuronali ricordano la mistura di artificiale e di naturale che compone questa vita di avatar, figure antropomorfe che custodiscono pezzi di meccano in cuori di metallo. Creature alate o in altro modo sospese in cieli ora tersi ora cupi, nè completamente uomini nè completamente bestie, nè completamente macchine. Eppure tutte e tre le cose, insieme in un destino che ha a che fare con la storia del cosmo.
Non ho avuto occasione di conoscerlo, peccato, probabilmente mi sono persa qualcosa. Prima dell’ennesimo crash mi porto dentro, come ultima immagine, le sue forbici: taglienti, appuntite, per pungersi e capire che sì... siamo ancora carne e sangue.
Qui il fantastico catagolo della mostra, edito da Velazquez Bonetto: http://issuu.com/diabolus/docs/ma_igor_ballyhoo
Mo Werefox



Ed ecco un volo di gabbiani che, pur immobili come stelle, tracciano nuovi immaginifici versi nella poesia del cielo; ecco un pappagallo che, incurante di tutti i deja-vu della memoria, ripete sommessamente oscure parole di oblìo; ecco una barca preda di onde luminose che ne impediscono la partenza e la fine; ecco il precario equilibrio di un clown disarticolato come le sofferenze da esorcizzare; ecco due fanali che interrogano il buio ricevendo misteriose risposte; ecco sagome di edifici nell'ombra della nebbia e nell'oro del sole, orologi senza tempo di albe e tramonti nel ciclo perenne della vita e del sogno.
Ho chiesto a Tani chiarimenti su come lei viva questo contrasto tra tridimensionalità e superficie piana. Mi ha risposto che nella fotografia è più libera, mentre nel 3D deve sottostare comunque alle regole della Linden. Non usa sculpted o mesh, tiene a sottolineare, ma solo gli strumenti di SL. "E questo in effetti a volte limita", soggiunge. Sarà...
"Io non sono un'artista, io gioco!" si schermisce Tani Thor.